Nati in provincia

Mi è capitato spesso ultimamente, navigando su internet a orari improbabili per avidità di ricerca in fatto di argomenti che solo alle due di notte possono sembrare importanti, di imbattermi invece in articoli d’opinione capaci di tradurre in bella forma quei pensieri ingarbugliati che mi occupano a turno la mente per impedirmi di dormire. Certo come tutti mi sono arresa ad essere targhettizzata per contenuti mirati, studiata da algoritmi che valutano i miei interessi, le mie possibilità economiche e persino il mio carattere, ma capirete anche voi lo stupore di veder apparire in neretto sul telefono titoli capaci di riassumere in due righe teorie che covavo da tempo o di dare un nome a preoccupazioni del tutto nuove, non fa differenza. Quel che importa è che è chiaro che qualcuno al di là dello schermo si sia impietosito per il mio aspetto sciupato e si sia dato l’obiettivo di aiutarmi a riordinare i pensieri, se non di spingermi a formularne di più originali.

È capitato così, che il titolo di una di queste letture fortuite mi abbia fatto sobbalzare parecchi centimetri sopra la sedia, considerando che mi ha colto all’improvviso proprio mentre lavoravo alla composizione del primo numero de La Beula magazine che è (o sarà, nel caso non l’aveste ancora sfogliato) un viaggio all’interno della nostra provincia. Un’esplorazione che forse non ci porterà lontano, ma che sicuramente ci porterà più in profondità.  Il titolo recitava: “La verità è che, se ci nasci, non puoi davvero fuggire dalla provincia italiana”. Ora sono sicura che, se bene ho interpretato l’identità dei nostri lettori, il cuore ha mancato un battito anche dentro di voi.
Si tratta di un articolo scritto da Niccolò Carradori per Vice Italia, affiancato dall’azzeccatissima illustrazione di Juta (aka Simone Rastelli), in cui si vede una figura maschile stilizzata che potrebbe avere quarant’anni come dodici, che fissa inquieto un punto al di sopra della sua testa mentre siede impaziente alla fermata di un bus. Il punto su cui ora si dirige anche il mio sguardo coincide con l’angolo in alto a destra del mio schermo: lì troneggia un familiare cartello blu, di quelli che indicano il nome della località all’interno delle stazioni che, stando all’espressione sconcertata del pendolare, potrebbe portare la scritta “limbo” o “ selva oscura”, ma che invece annuncia a grandi lettere “Provincia”. Questa semplicissima vignetta mi ipnotizza, perché ora al posto dell’uomo senza età sto vendendo me stessa, lì seduta proprio come lo sono stata su migliaia di panchine in migliaia di stazioni ad aspettare migliaia di treni, autobus, battelli, funicolari la cui destinazione precisa era meno importante della consapevolezza che ognuno di loro mi avrebbe portato in “città”.

Sono nata a Milano in un normalissimo giorno di novembre di quasi 25 anni fa, ma nonostante questo dato ingannevole sul passaporto, fin dal giorno uno la mia casa è stata Albese con Cassano: paesino di quattromila abitanti a cui da piccola riconoscevo l’unica qualità di trovarsi a una distanza accettabile sia da Como, dov’erano i miei amici, che da Erba, dove sarei andata a scuola, e non particolarmente lontana da Lecco, dove c’erano bei negozi. Una posizione strategica, insomma, anche agli occhi di una me bambina convinta che l’avere casa in un paesino tranquillo da abbandonare la mattina presto e a cui fare ritorno solo per dormire fosse il naturale e insovvertibile schema di tutte le famiglie del mondo. Un vantaggio quindi di cui intendevo avvalermi il più possibile visto che la quieta ma stretta Albese con Cassano esisteva solo in funzione della mia voglia di andar via.
Non so dire esattamente, all’interno di questo schema, come abbia fatto a farsi strada in me la fissa un po’ autodistruttiva prima per letteratura, poi per l’arte. Inizialmente con un piede ancora in un mondo ordinato e universalmente apprezzato, ammirando tutto ciò che avesse un gusto classico, poi saltando rovinosamente piè pari dentro il caos moderno, facendomi attirare proprio da quelle voci che avrebbero finito per scuotere il mio ecosistema come si fa con i paesini incantati dentro le sfere di neve ai mercatini.

Seriamente mi domando come sia incominciata. Come avviene l’unione tra la ragazza di provincia e il mondo vibrante della cultura contemporanea? È inutile infatti negare che l’arrancante, quando non inesistente, panorama culturale di provincia non facilita l’avvicinamento del grande pubblico a qualsivoglia espressione artistica. Inutile anche fare finta che le dinamiche provinciali, quelle in cui viviamo perlomeno, non ostacolino il fiorire di nuovi contenuti e che non scoraggino le idee di creativi per i quali diventa una lotta, e velocemente una sconfitta, guadagnarsi l’attenzione necessaria a stare a galla. Questo sempre a patto che al territorio di provincia venga data almeno una chance prima di rivolgersi alla città, di questi tempi satura e altrettanto difficile da navigare (per motivi che avrebbero bisogno di molte più battute per essere discussi), ma pur sempre predisposta ad accogliere scrittori, registi, fotografi, illustratori, pittori, grafici e tutto ciò che voi vi sentirete di aggiungere a questa lista.

Io, che da sempre vivo di influenze esterne, ho trovato per la prima volta un portale a questo mondo nella città di Milano, la vicina capitale industriale che con la sua personalità magnetica ci fa ombra e ci attira allo stesso tempo.  Lungi da me ora predicare il falso mito della metropoli delle opportunità, ma pur con le sue contraddizioni Milano rimane meta sicura per l’adolescente comasco, erbese, lecchese e dintorni che, per quanto sguazzi nell’atmosfera rassicurante dell’aperitivo alla birreria dietro casa, ha voglia di scoprire i musei, le inaugurazioni delle mostre, i festival di elettronica che durano tutta la notte, le rassegne cinematografiche, i laboratori letterari e i poli di cultura (per essere alla moda li chiameremo hub) in cui si può ascoltare una conferenza mentre si compra un libro intanto che si fa un aperitivo sedendosi a parlare con persone fino a un attimo prima sconosciute che sfogliano con te il programma di cosa si può fare dopo. E allora questo mondo e tutte le sue possibilità iniziano a scorrerti velocissimi davanti agli occhi e ti sale anche un po’ di ansia perchè tu dove sei stato finora? Ti senti un po’ in ritardo. Rimani sulla soglia e decidi che vuoi entrare anche tu, e allora ti verrà da dire quello che tante volte ho sentito dire da persone dagli interessi pendolari come i miei: “pensa se fossi nato , quante cose avrei fatto!”. Perchè crescere immersi nella possibilità è diverso da crescere nello schema, nella “soffocante anestesia dei sobborghi”, per dirlo come l’insofferente Virginia Woolf costretta lontano dalla sua amata Londra.

Ed è proprio a questo punto, cari lettori de La Beula, che nasce il progetto per il quale sto scrivendo. Un progetto che si propone di unire le tantissime voci che invece hanno voglia di trovarlo anche qui il mondo delle possibilità, dandosi la chance di contraddire quella frase che siamo stanchi sia di sentire che di ripetere, non importa quanto sia vera. Magari, per rispondere al minaccioso titolo dell’articolo di Vice, la provincia non è solo quel guscio vuoto da cui scappare.
La sfida che accogliamo è quella di non domandarci quante cose potremmo fare mettendoci in gioco altrove, ma quante cose possiamo, dobbiamo fare per aiutarci a trasformare dall’interno quel famoso schema che a volte ci sta stretto, ci delude e ci fa sentire un po’ alieni quando le cose che ci emozionano vengono liquidate come incomprensibili o insignificanti. Ma da dove partire? Niente di più facile che iniziare a guardarci un po’ intorno e prepararci ad essere più attenti, a dare retta, per scoprire che in realtà qualcuno già si sta muovendo e noi dobbiamo solo imparare a fare strada alle idee, alla personalità e alla voglia di fare. Allora abbiamo deciso di raccontare le storie, tutte rigorosamente made in Como & Brianza, di coloro che hanno scelto di aggrapparsi testardi allo stesso modo sia alle loro passioni che alle loro origini, anche se è difficile essere compresi, anche se i risultati sono lunghi ad arrivare o non arrivano mai come si sperava. Li conosceremo e ve li faremo conoscere per narrare che esiste un mondo di splendidi alieni nella nostra amata e odiata provincia che non riesce, o a volte semplicemente non osa, emergere. Potreste avere voglia di farveli amici o anche di non incontrarli mai per strada, ma comunque chissà, di diventare po’ più alieni anche voi.

Editoriale estratto da La Beula n° 1
di Giulia Guanella
Illustrazione di Gloria Cavalleri

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Laureatasi in design a Milano e specializzatasi in pratiche curatoriali a Venezia, collabora con diversi spazi e realtà culturali non-profit in Italia e all'estero. Dalla fine del 2018 si unisce a La Beula contribuendo a formarne l’identità ed è ora curatrice del progetto editoriale. Folle accumulatrice di libri e appassionata di illustrazione, nel 2020 sfrutta l'immobilità della Pandemia per tornare sui banchi iscrivendosi alla Magistrale in Antropologia Culturale dell'Università di Torino, che frequenta comodamente dal divano di casa nella piccola Albese con Cassano (provincia di Como), dove vive fin dalla nascita nel 1995. In un'altra vita alchimista, biologa, e pianista.
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