Boyz don’t cry.

Dal backstage di un corto di Sabri Feki

Secondo giorno di zona gialla. Il bar, l’autore, qualcosa da bere. La Birreria Majnoni: il contesto perfetto per la condivisione che porta al racconto del progetto a soli due giorni dalla registrazione; nel frattempo qualcun altro del team si sta occupando del montaggio.

Prodotto dell’espressione di Sabri Feki, studente di beni culturali appassionato di cinema e non solo, è un cortometraggio, il cui titolo allude chiaramente al messaggio e alla sua critica: BOYZ DON’T CRY. La ricerca inizia dalla domanda: qual è l’origine del male che ferisce il mondo femminile (e non solo)? Da dove arriva il culto della mascolinità tossica?

La risposta breve può stare in una parola: patriarcato. Elemento fondante della società in cui viviamo, nella quale uomo e donna hanno ruoli ben definiti e distinti. Il primo è il capo famiglia, colui che deve occuparsi del benessere materiale, che non ha cedimenti, dominante e forte; la seconda è relegata al suo fianco, a volte anche “un passo indietro”, a semplice compagna, madre di figli, magari isterica ed emotivamente instabile.

Normalizzare la fragilità e l’emotività maschili, fare in modo che non siano viste come qualcosa di cui vergognarsi o da nascondere: questo è il significato che vuole trasmettere BOYZ DON’T CRY. Il cambiamento resta arduo a dir poco; pensiamo alle polemiche e discussioni – a tratti deprimenti – che vengono sollevate quotidianamente, dal catcalling alle differenze di trattamento nel mondo del lavoro, e la lista sarebbe pressoché infinita. Il maschio fatica a liberarsi, a mettersi in discussione, e non si rende conto che il raggiungimento dell’uguaglianza di genere gioverebbe a tutti senza distinzione.
Purtroppo c’è ancora molto fraintendimento, alimentato anche da realtà che si spacciano per portavoce delle donne con modalità incredibilmente patriarcali, per le quali il femminismo libera qualcuna mentre esclude altre (e altre identità). Tutto questo è molto lontano da quelli che dovrebbero essere obiettivi femministi e, proprio a questo proposito, trovo che la parola normalizzare sia espressione perfetta per definire la realizzazione dell’equità di genere almeno sul piano della liberazione emotiva.

I protagonisti del corto sono tutti maschi ed esiste una ragione dietro questa scelta che può apparire incoerente, ed è legata alla volontà di cambiare la prospettiva, il punto di vista, provare a guardare attraverso gli occhi di chi è rappresentante e vittima allo stesso tempo di questo sistema tossico. È stato chiesto a questi ragazzi di mostrarsi prima “forti”, molto forti, attraverso espressioni e movimenti gangsta (uno dei mondi della mascolinità per eccellenza nell’immaginario collettivo contemporaneo) e poi, alle stesse persone, è stato chiesto di piangere, non solo di mostrarsi vulnerabili o affranti, ma di far fuoriuscire le proprie emozioni sotto forma di lacrime, tendenzialmente considerate segno di debolezza e motivo di vergogna su un volto maschile.

La reazione dei ragazzi coinvolti è stata incredibilmente positiva. Si sono lasciati travolgere e hanno messo in gioco sé stessi, e la musica ha ricoperto un ruolo fondamentale, è stata veicolo e supporto all’espressione emotiva. Chiedendo ai partecipanti si è manifestata in molti la convinzione di non riuscire a piangere “a comando” (o addirittura di non esserne capaci); erano pronte le cipolle e le lacrime artificiali. Per lo sconcerto positivo dell’autore questi strumenti non sono serviti, tutti quanti hanno pianto, anzi, è stato più difficile girare le scene gangsta, confessa Sabri.

Ogni nome presente nello script è stato scelto con un criterio ben preciso. La ricerca è focalizzata sul contrasto, l’obiettivo è quello di avere un ampio ventaglio diversificato di lineamenti del volto, mimica espressiva e immagini che permettano allo spettatore di provare empatia.

Alex è stato scelto per la barba, è molto mascolino, ma con uno sguardo tenero. Nicolò, la punta di diamante, è magnetico, di una bellezza femminile. Marco perché ha un’espressività intensa, ogni emozione si trasferisce e si mostra sul volto. John perché riempie la scena, è un leone. Sebastian è un ragazzo perfettamente tagliato per le scene gangsta e sicuramente è stato affascinante vederlo cimentarsi nel pianto. Riccardo perché rappresenta il “bello pulito”. Francesco per la sua esuberante positività. Tommaso perché è un attore, un professionista che avrebbe potuto aiutare gli altri durante la fase di registrazione. Il regista, Sabri Feki, per la conoscenza: partecipare permette di comprendere ulteriormente il proprio progetto. Domenico perché ha il viso d’angelo, ha la mimica da bravo ragazzo ed è stato interessante vederlo nei panni del gangster.
Fabrizio è stato fondamentale dietro le quinte, per il set e la tecnica fotografica. Riccardo si occupa del montaggio. Mara, la truccatrice, è stata vitale per la location e in ogni momento della giornata di registrazione, positivamente coinvolta anche perché ha avuto la possibilità di confrontarsi con un’esperienza nuova e sicuramente stimolante per il futuro.

Dopo il “cosa” e il “chi” si è giunti al “dove” e al “come”. La location è stata difficile da trovare, a causa della situazione che tutti conosciamo. Mara ha offerto il suo garage, all’interno è stato montato un fondale nero, neutro, perfetto per mantenere l’attenzione sul fine del progetto; una videocamera e, davanti ad essa, un’unica luce, una ring light che illumina i soggetti ripresi in primo piano (taglio fotografico che comprende il volto e le spalle) – lo strumento permetteva di modificare l’intensità luminosa in base alle necessità, senza dover reimpostare ogni volta la videocamera che quindi ha lavorato in automatico, rendendo più agile tutto il lavoro. Il video sarà in bianco e nero, scelta stilistica che trova ragione unicamente nel gusto personale dell’autore: non a tutto deve esserci una ragione, lo diceva anche Francis Bacon.

BOYZ DON’T CRY è il primo corto in cui si cimenta il regista, che durante la chiacchierata ha analizzato la giornata di girato. Sono emerse le preoccupazioni e gli errori che saranno una lezione importante per quelli futuri, perché è chiaro che questo è stato il primo di una lunga serie. È stata una collaborazione in cui tutti si sono messi a disposizione e il clima che si è creato ha dato luogo a molte conversazioni interessanti; è stato come se tutti coincidessero, non era facile o scontato mettere insieme tante personalità esuberanti, eppure nessuno ha prevaricato l’altro. Questo video sarà semplicemente il risultato, mentre la preparazione è da considerarsi “l’azione”, una piccola lotta che si è svolta nel momento in cui si è creato uno scambio equo tra esseri umani che hanno accolto la loro fragilità e si sono aiutati ad esprimerla. Il video è l’espressione di un’esperienza. È come se tutti si fossero calati nella parte, anche fuori dal campo della camera, sono entrati in una bolla di realtà in cui la mascolinità tossica è stata messa in pausa, ed è stato bello. Si è creato uno spazio neutro in cui delle persone semplicemente piangono, in cui ognuno ha collaborato per raggiungere un obiettivo comune.

Rimane solo da chiedersi da dove arrivi la necessità di esprimersi e di creare. In questo caso la risposta sta nella volontà di incanalare la rabbia e quelle che sono sensazioni negative trasformandole in motivazione, ambizione e forza. Le ragioni arrivano dalla vita e la forma artistica diventa un mezzo per gestire qualcosa che risulta altrimenti difficile da controllare. Nel caso del regista il percorso fotografico è il percorso di vita: i primi scatti rappresentavano spesso una figura sola in un ambiente indefinito, desolato, esprimevano un “guardare da lontano”; in questi ultimi mesi è avvenuto un cambiamento radicale, c’è stato un avvicinamento alle persone attraverso l’esperienza diretta dell’emotività dell’altro e questo progetto rappresenta questo cambiamento. L’affezione all’argomento affrontato dal video è da ritrovarsi nella vita di Sabri, cresciuto come tutti dalla cultura patriarcale e plagiato da essa, tanto da arrivare a definirsi come il prodotto perfetto di quest’ultima. L’essere cresciuto fra le case popolari della provincia italiana, ma anche del suo paese di origine, la Tunisia con i suoi quartieri a volte poco gentili, l’aver frequentato un istituto superiore professionale in cui il novantanove per cento degli studenti era di genere maschile: tutto questo ha favorito il suo divenire perfetto portavoce di un sistema in cui era immerso. Ora si sente cresciuto e la lettura, lo studio e il confronto continuo hanno forgiato un giovane adulto diverso e pronto a battersi per quello in cui crede, partendo dal combattere sé stesso, mettendosi in discussione prima di farlo con l’altro. Chiaramente, nel momento in cui metti in discussione quello che sei e quello in cui credi da sempre hai bisogno di appoggi saldi, e qui troviamo due persone in particolare, Nicolò e Marco, compagni di viaggio che hanno condiviso il punto di partenza del regista e che, sempre presenti, stimolano discussioni e riflessioni. Poiché è importante avere al proprio fianco qualcuno che ti permette di traballare senza cadere. Il punto fondamentale di ogni partenza è la domanda, e anche l’incoerenza può diventare una forza.

«[…] Il femminismo non si siede al tavolo con il patriarcato: il femminismo lo rovescia, il tavolo». Così scrive Giulia Blasi in Manuale per ragazze rivoluzionarie e un gruppo di uomini ha provato a fare la sua piccola parte durante la creazione di questo video, hanno provato per un momento a rovesciare il proprio tavolo interiore mettendosi in discussione, facendosi delle domande, provando a sentire e lasciandosi andare per vivere qualcosa che è sempre stato etichettato come “femminile”.

di Francesca Notaro
foto di backstage di Riccardo Pontiggia
corto di Sabri Feki

BOYZ DON’T CRY – SABRI FEKI
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Francesca Notaro nasce a Catanzaro nel 1995, il destino la porta a Ponte Lambro, lontana dal mare. Da grande vuole fare la bibliotecaria ma si laurea in Design degli Interni al Politecnico di Milano. Convinta di non tornarci più, sempre lì, frequenta un corso di specializzazione in Scenografia, durante una pandemia che vede la chiusura dei teatri per mesi. Vive di sogni e compromessi, è appassionata di tutto ciò che è in via d’estinzione: gli elefanti, la carta, la fotografia analogica. Fortemente socialista, cerca di combattere il capitalismo studiandone ogni dettaglio dall’interno, lavorando per lui. In un’altra vita scultrice, ereditiera, filosofa o crème brûlé.
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